Si chiama Korrik ed è il settimo mese dell’anno. Nel calendario gregoriano corrisponde a luglio, in onore di Giulio Cesare. Korrik in lingua arbȇreshe albanese antico, vuol dire periodo delle messi e dei raccolti, prerogative che i romani attribuivano alla dea Cerere, i greci a Demetra, gli osci a Kerres.
Korrik e Kerres, l’uno, molto probabilmente, il dio delle popolazioni illiriche e tracie transitate nella penisola balcanica, l’altra la dea delle popolazioni italiche. Se è vero che lingue hanno tutte una comune radice, questo può dirsi un caso.
Più volte, nella famosa Tavola Osca, III sec. A.c., detta tavola di Agnone, conservata al British Museum di Londra, anche se in realtà è stata rinvenuta in agro di Capracotta, è nominata Kerres nel recinto degli altari dove si svolgevano le pratiche votive.
Considerando la frequenza delle mutazioni vocaliche e consonantiche nella evoluzione delle parlate, senza pretese scientifiche, si nota come con il termine kurret o tȇ korret nella lingua ancora in uso dalle popolazioni albanofone, si intende dire mietere e mietitura, mentre korrȇsit erano gli uomini addetti al raccolto del grano.
Una pratica agricola che si faceva a mano con la falce con la quale si tagliavano i mannelli che componevano i covoni. Ora il grano non si miete ma si trebbia con enormi macchine che fanno tutto automaticamente, le cosiddette mietitrebbie.
Similitudini linguistiche? Sembrano inspiegabili ma esprimono le stesse idee fondamentali. Intatto è rimasto il tempo della semina, la germinazione, la crescita, la maturazione e infine il raccolto nel periodo delle messi a luglio, il Korrik degli illiri entrato nell’albanese.
Il geografo greco Tolomeo parlava nel 130 d.c. degli alvanoi, genti di stirpe illirica e delle tribù dei messapi. Plinio 77-78 d.c. nel 3^libro della Naturalis Historia, dove parla della geografia del Mediterraneo, racconta che “ nove giovani con nove vergini, passando dagli illiri, generarono in Puglia 13 popoli”.
Dalle fonti storiche sul passaggio dei popoli, agli insediamenti, la grande festa del raccolto che dai miti pagani si è trasferita nelle celebrazioni cristiane dove Madonne e Sante, svolgono il ruolo delle propiziatrici. Tra Sante, una per tutte Sant’Anna, a Jelsi. Qui le fantasiose offerte di grano, una volta trasportate sulle traglie, ora sui trattori, sono delle vere e proprie opere d’arte.
Un discorso a parte merita la Madonna dei miracoli di Casalbordino, e la sua apparizione a un contadino che pregava affinché il suo campo di grano venisse salvato dalla furia distruttrice della grandine durante un temporale.
Tra le testimonianze mitologiche più antiche, il comune di Opi nell’alto Sangro, le cui popolazioni stanziali sono riconducibili dal tra il VII e il V sec .a. c , pare debba l’origine del suo nome alla divinità sabina dell’abbondanza.
Che dire della Vergine delle Messi del pittore francese Delacroix e l’iconografia delle consonanze agricole, ispirata alla Bella giardiniera di Raffaello?
Demetra raffigurata come una matrona benigna, riceveva sacrifici di animali e doni di frutti e spighe, come Cerere allotropo di Kore.
Un quadretto interessante, dove dominante è la natura e i raccolti. Il grano in modo particolare, il cereale per eccellenza. Dagli illiri agli etruschi, dai pelasgi alle popolazioni italiche, dagli osci , ai greci da questi ai latini , il passo è breve. Iscrizioni, glosse, voci di significato comune, una geografia linguistica non del tutto esplorata. Rispetto alla veridicità dell’origine illirica della lingua albanese antica, vale anche il carattere guerriero di queste tribù che avevano inventato armi importanti e di precisione come la sica.
Una spada ricurva a punta di seguito utilizzata in tutti i balcani e adottata dai romani. Nelle comunità arbȇreshe dove nonostante il fenomeno della “albanesizzazione” dei prestiti italiani e viceversa, esistono delle parole autentiche e di fascino. Tra queste i termina sica –sika- che significa arma tagliente e il verbo sikon , tagliare, segare. Il fascino dei suoni, dei segni e dei significati che non mutano e trovano la loro corrispondenza nella genesi e nella etimologia delle parole.
La mietitura, tȇ kuret degli arbȇreshȇ, trova la sua corrispondenza a tavola col piatto Makarunet ta korsevȇt.
E’ una specialità che ha occupato un posto d’onore nella tradizione contadina molisana. La pasta dei mietitori, di formato grosso, costituiva la festa dell’aia. Makarunet ta korsevȇte erano una pietanza robusta che serviva a ripagare la fatica degli operai che sotto il sole di luglio, muniti di falce e cannelli per riparare le dita, mietevano le messi. Venivano dai paesi di montagna e prestavano la manodopera nel periodo dei raccolti.
Pasta di grosso taglio, del genere zitoni o canneroni, Si lessavano in abbondante acqua salata e si condivano con un ragù ristretto fatto con salsa di pomodoro in bottiglia, olive nere snocciolate, cipolla, pezzi di ventresca e salsiccia sott’olio o sotto sugna. Sul condimento si cospargeva formaggio pecorino grattugiato al momento.
Fernanda Pugliese