Il nome di questa famiglia, proprietaria di oltre trentamila mila capi di ovini, che si può definire di industriali dell’epoca, ebbe nel barone Donato Berardino Angeloni la massima espressione di attaccamento alla propria terra e alla sua gente.
Gente fatta di pastori, appunto, che lavoravano nell’altrettanta nobile attività della pastorizia. Molti di loro sapevano leggere, erano coloro che per passare il tempo, quasi immoto, nell’osservare le greggi dedite a brucare l’erba, lo dedicavano alla lettura, ma, chi ne aveva scoperte le proprie doti passava il tempo anche al disegno e alla poesia.
Questa era la Roccaraso del Milleseicento, e quindi un certo riverbero di cultura aleggiava nell’intera comunità roccolana.
Fu così che i munifici coniugi Donato Berardino Angeloni e sua moglie Agata Fiorini, vollero costruire e donare ai roccolani un piccolo teatro dove durante il lungo inverno potessero esercitare l’altrettanta nobile arte della recitazione e potessero così trascorrere quel lungo periodo di freddo e nevoso isolamento, mentre i pastori erano emigrati per la Transumanza nelle Puglie.
Il teatro era datato 1698, quando a Napoli il San Carlo fu costruito in sei mesi nel solo 1734. Le compagnie teatrali che da Napoli salivano in Abruzzo per esercitare la loro arte, arrivate al termine dell’ardua salita, si fermavano due giorni a Roccaraso e trovavano alloggio in varie famiglie. Per ricompensare l’ospitalità ricevuta, la sera prima della partenza, si esibivano in quel piccolo gioiello in pietra e legno.
E così facendo rinforzavano anche le capacità e la voglia di esibirsi di quei piccoli attori locali.
Insomma una Roccaraso ricca in tutti i sensi, dove solo l’agricoltura era grama e legata ai tempi della montagna, dove la facevano da padrone il grano di Solina, l’orzo, le reveglie, le patate e i fagioli. Galline e conigli razzolavano dappertutto.
Era già del 1688 il primo dono che i due coniugi vollero fare alla nostra comunità: la magnifica statua d’argento del condottiero romano, un mezzo busto di Sant’Ippolito, patrono del paese.
Giunto fino a noi grazie a una rocambolesca sottrazione effettuata ai soldati tedeschi qui attestati al centro della linea Gustav, che stavano per farne bottino. Quattro abili donne la salvarono la “nostra” bella statua, nascondendola semplicemente e fortunosamente in una “sacchetta” di canapa.
Adesso non prendetemi per il solito fissato che per le sue storiche fissazioni vorrebbe che strade, piazze e muri di case portassero riferimento alla vita passata di Roccaraso, ma non vi sembra giusto, dopo questo racconto che il nuovo auditorium sia intitolato a quei due munifici coniugi? Amen!
Ugo Del Castello