Sarà perché ne parlo spesso di questa mia Roccaraso; sarà perché mi giunge anche qualche sollecitazione a ribadire qualche argomento, tra i tanti ormai pressanti; sarà perché le anime dei defunti sono tra di noi e seguono passo passo ciò che di buono costruirono durante la loro vita, nella speranza che altri non solo mantenessero efficienti le loro realizzazioni, ma le migliorassero per affidare ad altri quell’idea utile alla vita di questa comunità.
Ebbene, questa notte ho sognato, sì ho sognato, forse perché, attraverso la mia attività di storico di Roccaraso e scrittore delle sue vicende, sono entrato in sintonia con un personaggio che qui venne e tornò innamorato della nostra terra, per realizzare quella sua idea, che partendo dalla neve, passò per lo Sci Club Roccaraso per formare bravi sciatori e poi per costruire non solo un albergo, il Savoia insieme ad un Angeloni, un nobile locale, ma anche un rifugio, il Principessa Giovanna, lassù, tra i monti a presidio del Piano dell’Aremogna.
Ebbene, dopo aver elencato questa quantità di belle azioni compiute per la nostra gente vi rivelo il suo nome. È Leandro Zamboni, un colonnello degli Alpini, venuto da Cuneo nel 1910 a Roccaraso, al seguito del Touring Club Italiano, per divulgare la novella del nascente sport bianco. Poi, finita la Grande Guerra si congedò e incominciò a collaborare come giornalista al seguito del Giro d’Italia.
Così tornò a Roccaraso passando per il mitico Piano delle Cinque Miglia le cui cime a maggio erano ancora coperte di neve. E fu proprio così che finito di raccontare quella epica corsa in bicicletta, verso la fine degli anni ’20 decise di tornare a Roccaraso per sviluppare le sue idee legate alla neve, al turismo, corroborate da una forte esperienza di montagne e mettere così in atto, per i luoghi, per la comunità di cui si era innamorato ciò che vi ho indicato.
Passò il tempo e poi, per una questione “amorosa” dovette fuggire da Roccaraso, vendette tutto e approdò al Terminillo dove presto costruì un altro Savoia e dove si imbatté con il Duce per vivere una storia particolare che un giorno vi racconterò.
Ecco il personaggio che ha dato lustro a Roccaraso, come tanti venuti da fuori soprattutto in quel periodo tra le
due Guerre e al quale il buon Sindaco Mario Liberatore volle esprimere riconoscenza, tutta la riconoscenza di una comunità che sapeva e che non aveva dimenticato. A Leandro Zamboni dedicò, con un atto del Consiglio comunale la nuova struttura sportiva, denominata Palapiscine.
Un paio di vasche sormontate da scivoli coperti che addirittura escono all’aria aperta, allietando anche la vista del turista che ci scorre dentro mentre fuori nevica o un bel sole estivo rende ancora più verde gli altopiani e le montagne. C’è annesso un bowling con bar e una pizzeria. Insomma una struttura turistica di rispetto, purtroppo finita in malora, per la scelleratezza di tanti, che per varie ragioni ne sono stati artefici disattenti.
Nel sogno il buon e anche un po’ burbero Leandro mi ha preso per mano e dopo una bella passeggiata allietata dal racconto del suo passato roccolano, mi ha portato, senza che mi accorgessi dell’obiettivo, al cospetto di quello che può essere definito “un disastro”, non più il Palapiscine.
Un disastro del turismo roccolano, della comunità roccolana, che lui tanto amò e alla quale lui tanto diede con le sue idee rivoluzionarie a quel tempo e che consentirono a tutti di abbandonare la dannunziana “verga d’avellano” per lavorare con i guanti bianchi negli
alberghi o avviare imprese di ogni genere.
Davanti a quell’ingresso malandato mi son sentito stringere la mano, l’ho guardato Leandro e ho visto scendere sul suo volto due lacrime, che sono bastate per riportarmi alla realtà, una triste realtà, che grida vendetta.
Roccolani svegliatevi, perché Zamboni, Caffarelli, Umberto di Savoia e tutti quelli che hanno fatto grande questa località turistica in vari modi vorrei che mi apparissero in sogno soddisfatti e sorridenti, perché loro lo meritano, la mia Roccaraso lo merita. Forse non è la vostra? È ora di rimboccarsi le maniche. Punto e a capo.
(Dedicato a un amico che da piccolo riceveva da mia moglie l’uovo di Pasqua sempre più piccolo di quello della sorella).
Ugo Del Castello