Si racconta che Costante Girardengo nel Giro d’Italia del 1921 sceso dalla bici per la fatica a salire il Macerone abbia segnato una croce sullo sterrato e abbandonato la corsa definitivamente. Però non fu così. E non poteva essere così neppure nel 1923, perché questo Giro lo vinse.
Ma allora che cosa è accaduto al campione della bicicletta per essere diventato famoso con quella croce tracciata sullo sterrato di gara?
Messo da parte per il momento l’anno 1923, per la ragione espressa, bisogna analizzare cosa era successo fino al giorno 2 giugno del 1921 e in quel giorno quale fosse il verso del Giro. Il Campionissimo, così fu definito per le sue molteplici vittorie, aveva vinto le prime quattro tappe e la quinta tappa ripartiva da Chieti per giungere a Napoli, passando per Roccaraso, Rionero Sannitico e poi giù per il Macerone.
È proprio lui che lo racconta a metà anni ’60 in una intervista televisiva di Adriano De Zan della RAI reperibile su You tube. Prima di arrivare a Pettorano sul Gizio, ebbe un malore, una colica renale, che incominciò a debilitarlo, tant’è vero che lungo la salita che porta al Piano delle Cinque Miglia espresse al direttore della Stucchi, la sua squadra, di volersi ritirare, tanta era la fatica nel pedalare. Il direttore lo convinse a desistere adducendo che dal grande piano in poi la strada sarebbe stata tutta in discesa per Napoli.
Girardengo continuò con uno sforzo sovrumano e arrivato sul piano, dopo qualche centinaio di metri stremato, scese dalla bici, tracciò una croce sullo sterrato e pronunciò la famosa frase “Girardengo si ferma qui” e si ritirò dal Giro d’Italia. In molti hanno invece addebitato al campione l’episodio sulla salita del Macerone e gli stessi giornalisti della carta stampata e delle tivvù quando il Giro passa per il Macerone ripetono sempre la stessa storia.
Distorta e quindi falsa. Sarebbe stato sufficiente guardare il verso di quella tappa ed accorgersi che per fare il Macerone in salita bisogna arrivare da Isernia, oltre che conoscere, da professionisti della notizia ciò che poi lui ha raccontato, appunto, sull’episodio tanti anni fa.
Quest’anno però è un anno importante, ricorre il centenario del favoloso Giro d’Italia del 1923, che Girardengo vinse con ben otto tappe all’attivo su dieci; lasciò la seconda a Bartolomeo Aymo e la nona a Alfredo Sivocci e indossò la maglia rosa per sei tappe. In questo Giro proprio nella tappa Napoli – Chieti, manco a farlo apposta del 2 giugno, riprese la maglia da Aymo e la portò vincitore a Milano. E fu proprio in questa tappa che esaltò al meglio le sue doti di “Campionissimo”.
Credo che l’intrecciarsi della leggenda che lo avvolse in quegli anni abbia portato a fare una gran confusione e come detto, perfino i giornalisti tornano spesso ad addebitare l’episodio del ritiro alle erte rampe del Macerone.
Quest’anno il Giro d’Italia arriva a Capua e il giorno dopo riparte per il Gran Sasso. Viene spontaneo affermare: eccolo, di nuovo il Macerone e invece no, non è così, passerà sotto Colli al Volturno, affianco a Rionero Sannitico e poi verso il Gran Premio della Montagna di Roccaraso.
Se le ricorrenze hanno un valore, soprattutto se centenarie, allora viene spontaneo affermare che la direzione del Giro d’Italia è stata poco accorta perché come abbiamo ricordato il 2023 è l’anno del centenario di quel magnifico Giro d’Italia che Girardengo vinse alla grande e fu definitivamente segnato quel Giro proprio sulla salita del Macerone.
Una disattenzione direi grave, che ha evitato di ricordare il Campionissimo e il suo vero rapporto che ebbe cento e più anni fa con la mitica salita del Macerone, e con il famigerato Piano delle Cinque Miglia, famoso quest’ultimo per le sue tempeste di neve, il gelo, trecento soldati mercenari appartenenti alle truppe della Lega Santa che nel 1528 combattevano contro Carlo V e nel 1529 seicento soldati delle truppe comandate dal principe d’Orange, tutti periti nelle bufere del luogo e quindi nel 1921 con il ritiro di Costante Girardengo.
Se il Giro d’Italia è affascinante anche per la sua storia, beh! allora credo che in quello di quest’anno ben difficilmente si parlerà del Campionissimo e del “Suo” Giro di giusti 100 anni fa. Ed è davvero un peccato non mortale, ma quasi.
Ugo Del Castello