È quello dello Stato di poter ridurre e rendere più rispondenti a criteri di efficienza e funzionalità gli enti comunali e pervenire quindi alla riduzione della spesa pubblica. Diverse norme, anche regionali, sono state introdotte per favorire la fusione dei comuni più piccoli, in particolar modo quelli inferiori a cinquemila abitanti, che sono attualmente 5.532 su un totale di 7.904 unità.
Staccarsi dal proprio campanile però è pensiero e azione improba, quasi nessuno è intenzionato ad agire in tal senso e men che meno coloro che amministrano i comuni di riferimento, perché certi che i posti della politica locale si ridurrebbero drasticamente.
Tale disinteresse, se non addirittura atteggiamento ostile, fa sì che proprio coloro che dovrebbero adoperarsi nell’opera di convincimento delle comunità interessate, anche mediante l’illustrazione dei benefici che ne deriverebbero, sia di natura finanziaria e contributiva (sospensione triennale degli obblighi derivanti dagli equilibri di bilancio – ex Patto di stabilità – contributi specifici immediati e a carattere decennale) che di accesso a facilitazioni per le assunzioni di personale, svolgano un’azione negativa in presenza della facoltà di aderire alle norme che lo Stato ha introdotto.
C’è da chiedersi se un giorno l’accorpamento dei comuni divenisse obbligatoria e sarebbe lo Stato a decidere quanti e quali comuni mettere insieme, sicuramente cesserebbero tutti i benefici incentivanti brevemente illustrati e sarebbe così imposizione mortificante in maniera assoluta. (Nella foto: il campanile di Roccaraso)
Roccaraso, Rivisondoli, Pescocostanzo e Rocca Pia, che ammontano a circa 3.000 abitanti, al netto delle residenze per diverse seconde case, disperdono in mille rivoli di promozione turistica, a volte contrastanti tra di loro, le risorse in possesso, che se unite in un unico ed organico intervento potrebbero invece sostenere in maniera razionale ogni iniziativa utile al rilancio dell’attività di ospitalità turistica del proprio territorio denominato Altopiani Maggiori d’Abruzzo, primaria se non totale fonte di reddito dei cittadini effettivamente residenti.
Poter beneficiare per tre anni della deroga posta a vincolo delle assunzioni di personale consentirebbe al nuovo comune così costituito di poter assumere altri vigili urbani e il loro comandante, operai e impiegati carenti, un unico responsabile dell’area finanziaria e dell’area tecnica, oggi assunti in maniera precaria, che perciò non conferiscono quella stabilità necessaria affinché ci sia qualità nelle azioni di gestione da sostenere.
Se solo si riflette sulle difficoltà attuali dei piccoli comuni di rispondere e predisporre in maniera tempestiva ed adeguata i fondi a disposizione del PNRR. Il contributo a fondo perduto dello Stato e della Regione, salvo eventuali e sopravvenute modifiche per attuare la fusione dei quattro comuni in un ipotetico Comune degli Altopiani Maggiori d’Abruzzo (nome che dovrebbe essere definito di comune accordo), ammonterebbe nei 10 anni successivi a circa 7 milioni di Euro. (Nella foto: dai Pallottieri sull’Altopiano dell’Aremogna)
Detta situazione anche se per ragioni di utilità diversa si ripropone in tutta Italia e solo circa 160 comuni hanno ad oggi aderito. Quelli che si sono attivati hanno avuto indubbi vantaggi che sono andati ben oltre le provvidenze citate in precedenza.
È emblematico il caso del nuovo Comune di Valsamoggia che, costituito con la fusione di 5 comuni ha raggiunto circa 40.000 abitanti, diventando il terzo comune della provincia di Bologna. Raggiunta questa dimensione, al tavolo delle trattative per impiantare lo stabilimento di una nota multinazionale del tabacco, con circa 400 posti lavorativi, l’ha spuntata portandola sul suo territorio.
Da soli e piccoli è bello, ma non utile per un mondo che viaggia inesorabilmente in maniera diversa. Non ci sarebbe da temere nulla per la propria identità storica e culturale che a mio giudizio avrebbero un valore maggiore se integrate con quelle dei comuni vicini.
Ecco che intraprendere la strada per la fusione dei comuni di un’area omogenea in termini di territorio ed attività economica prevalente, con cittadini che hanno spesso abitudini, modi di vivere, storie e cultura in comune, può, deve rivelarsi una opportunità offerta dallo Stato per migliorare sensibilmente la loro vita e tendere altresì ad evitare lo spopolamento di quei territori, che in termini di qualità della vita possono continuare a fare veramente invidia ai centri maggiori. Buon Anno.
Ugo Del Castello